Nasce da una mail ricevuta il giorno 27 settembre, il mio viaggio in Sudafrica per puro caso, o forse no.

Era l’occasione della mia vita, l’esperienza della mia vita. L’avevo solo immaginato, il Sudafrica, l’avevo scrutato in alcune foto, l’avevo apprezzato dai racconti in giro per il web, sognato. Era lì e qualsiasi altro impegno andava rimandato. 1-2-3 si parte!

Il susseguirsi dei giorni aumenta solo la mia curiosità, inizio ad informarmi, a guardarmi attorno e sul web trovo di tutto e di più sul viaggio in Sudafrica. Quello che mi colpisce diventa poi oggetto della mia attenzione, lo lascio lì sul mio taccuino del “cosa fare” e “cosa vedere”. Il programma era folto e le tappe molto interessanti, sapevo sarebbe stato un bel tour de force, d’altronde non ho mai viaggiato “comodo”. Made, tour operator che fa parte del gruppo Eden Viaggi, stava organizzando uno speciale educational alla quale io ho preso parte con il Tour Malaria Free (con alcuni accorgimenti e surplus) organizzato tutto nei minimi dettagli ed, effettivamente, non mancava proprio nulla al mio viaggio ideale in Sudafrica.

8 giorni intensi tra Johannesburg, Madikwe e Capetown. Qui maggiori informazioni sul tour: https://cataloghi.edenviaggi.it/it/made/africa-2019#page/20

Tra le varie tappe necessito di raccontarvi: le mie emozioni, i miei sogni realizzati e gli occhi, di chi ho incrociato, pieni di vita.

Durante il viaggio in molti mi avete chiesto cosa avessi mai portato come attrezzatura fotografica in Sudafrica. Premesso che mi son trovato in difficoltà non avendo mai fatto un viaggio simile, ho chiesto al mio amico Alfredo che lavora da Fotoema ed abbiamo composto il corredo:

A7RIII
A9
16-35mm f4 Zeiss
35mm f1.4 Sigma Art
100-400mm f4-5,6 Sony G Master
Monopiede Manfrotto + Testa fluida
Microfono esterno VideoMic Rode
Gorillapod
Zaino Manfrotto Bumblebee
DJI Mavic Pro
MacBook Pro 13′
HD esterno da 2tb
SSD esterno da 512gb

Ero ben’armato, sono sincero. Il peso non era eccessivo ma non è stata una passeggiata girare sempre con lo zaino strapieno. Ho preferito le due camere in quanto cambiare continuamente lente non lo reputavo un passaggio utile sia per i tempi che per la pulizia delle stesse. Il Sigma l’ho utilizzato relativamente poco, spesso ho scattato con il 100-400 Sony G Master (al safari mi sono divertito abbastanza) e per i paesaggi con il 16-35 rivelatosi ottimo. Il Mavic Pro infine l’ho potuto utilizzare poche volte in quanto nella riserva naturale non era possibile, se non poco appena sopra il lodge e nelle due città non era semplicissimo farlo decollare.

24 SETTEMBRE 2018

Ricevo una mail insolita che mi fece sobbalzare dalla sedia in ufficio, un pomeriggio qualsiasi di Settembre. Da poco rientrato dal viaggio in solitaria in Lapponia e dopo aver rinunciato al viaggio on the road in Irlanda ed uno – pressoché vacanziero – a Phuket per mancanza di motivazioni, l’occasione Sudafrica suonava un po’ strana ma senza titubanza e, dopo essermi confrontato a lavoro con i miei colleghi, decisi di accettare.

Decisi, dopo la Lapponia, di voler riprendere il viaggio in solitaria e l’ho fatto in seguito con un weekend a Nizza e poco dopo con uno tutto italiano a Torino. Il viaggio in Sudafrica invece sarebbe stato un viaggio diverso: in compagnia di altre 8 persone (agenti di viaggio) con le quali condividere l’esperienza. Io da reporter avevo una mission ben precisa. Inizialmente spaventato poi carico abbastanza decisi di mollare lo status da “e se non riesco?”.

L’adrenalina e la paura del non riuscire mi prende sempre, ogni volta prima di partire. 

OTTOBRE – NOVEMBRE

Partenza prevista il giorno 19 Novembre da Malpensa ma sino al giorno prima fu una rincorsa al: cosa metto in valigia e cosa lascio a casa? Una settimana in un continente dove l’escursione termica si fa sentire e le due città hanno praticamente climi differenti. Essenzialmente però del clima poco m’importava, come sempre durante i miei viaggi bado poco al clima ostile della destinazione. Amo il freddo particolarmente ma sono ben disposto a soffrire il caldo se vale la pena! Erano previsti dai 28-32 gradi a Johannesburg, a Madikwe invece qualcosina in più, mentre a Cape Town le temperature si sarebbero dovute abbassare leggermente. Le previsioni erano perfette, anche per eventuali piogge non previste.

La mia valigia pesava troppo ma imperterrito decido che va bene “tanto al gate non mi faranno problemi, ne avrei due a disposizione figurati…”, le ultime parole famose.

16-17 NOVEMBRE

Rientrai da Roma, dove svolgo la mia vita lavorativa ordinaria.

Un giorno particolare, al punto da sentirmi quasi in difetto verso il “film” costruito in questi mesi di attesa. Mi riuscì quasi tutto liscio e nulla mi portò via troppo tempo, a parte qualche pensiero di troppo. Era il viaggio sognato da tanto, inatteso e mi sarebbe piaciuto viverlo diversamente. Ho ricominciato a viaggiare da solo per necessità più che per piacere ma i viaggi precedenti sono quelli che più ho preferito, in perfetta sintonia.

Avevo solo mezza giornata per preparare la valigia ed alcune consegne da rispettare prima di partire. Trascorrere una notte a Malpensa e l’indomani del 18 novembre appuntamento alle 3:30 in aeroporto. Il mio amico, di vecchia data, Alfredo vive a circa 20 minuti dall’aeroporto così approfittammo per una cena giapponese a Gallarate. Giusto per farmi venire qualche dissenteria prima di partire. Alfredo mi raccontò che in queste zone c’è il coprifuoco ad una certa ora e che si rifugiano tutti nei locali (pochi) del centro e per noi del sud è abbastanza anomalo non trovare anima per strada di sabato sera. C’era freddo ed io ero a mezze maniche, non avendo portato con me giacchetti… ma il freddo mi regala l’adrenalina, quella necessaria per partire dopo circa 2 ore al rientro in hotel.

18 NOVEMBRE

Appuntamento alle 3:30 al check-in numero 4 di Malpensa, entrata n.13 chiusa a quell’ora. Qualche metro di passeggiata giusto per assaggiare il brivido dell’aria milanese all’alba (mica tanto!). Conobbi tutti i miei compagni di viaggio, sono l’unico ragazzo a parte Enrico, coordinatore del viaggio.

Ciò che sin da subito notai, fu il loro più totale disinteresse ed estraneità al mondo social. Fu per me una bella sorpresa, non c’era quell’ossessiva ricerca del wifi oppure la smania di dover pubblicare stories su Instagram. Spiegai in poche parole cosa consisteva il mio di lavoro e, inaspettatamente, fu compreso e accolto con entusiasmo da tutte le ragazze.

I primi problemi nacquero al box del check-in dove la signorina iniziò a farmi storie per il peso dei due bagagli a mano (avevo lo zaino ed una borsa laptop). Mi venne in soccorso Stefania, una compagna di viaggio, che mi aiutò a sistemare un po’ di attrezzatura e a distribuirla anche nel suo di bagaglio a mano. Pericolo scampato, il bagaglio non l’avrei mai imbarcato avendo all’interno attrezzatura fotografica fragile non mi sembrava il caso.

Caffè dopo i controlli di rito e s’iniziò per il viaggio in Sudafrica col primo volo con compagnia KLM per Amsterdam dove ci aspettava la corrispondenza per Johannesburg. Dopo circa 10 ore di volo totali, atterrammo all’aeroporto internazionale O.R. Tambo di Johannesburg. L’aeroporto è molto grande e dispersivo, il più grande del continente africano. Arrivammo praticamente distrutti, ci aspettava il nostro transfer ma prima conosciamo Debora. La nostra coordinatrice che ci avrebbe accompagnato per tutto il viaggio in Sudafrica. Ci dirigemmo in hotel dove ci aspettavano per uno spuntino, l’ora era tarda ormai e non ci restava che andare a riposarci. Passammo la notte al Southern Sun Hyde Park, hotel essenziale dove ma abbastanza vicino all’aeroporto. La stanza era carina, la veduta era leggermente da rivedere (un parcheggio). Dopo una doccia, crollai come un bimbo che non dormiva da una settimana.

Attento ad ogni consumo d’acqua: in Sudafrica lo scorso anno c’è stata un’emergenza per la siccità e ancora oggi si cerca di sensibilizzare soprattutto i turisti ospiti di questi hotel/resort onde evitare sprechi inutili (come vasche idromassaggio!).

Il famoso giorno zero (giorno in cui l’acqua sarebbe dovuta finire) non è mai arrivato fortunatamente, ma l’allerta è sempre ben’alta. Quest’anno pare che sia diversa la situazione ma si sta entrando nei periodi più caldi (si va’ verso l’estate) per cui si cerca sempre di prevenire.

19 NOVEMBRE

La mia sveglia suonò prima (alle 6:00), l’intenzione di far volare il drone era più forte della stanchezza, d’altronde  il mio viaggio in Sudafrica era un viaggio fotografico!

Il responsabile all’accoglienza dell’hotel mi diede qualche consiglio giusto per non incappare in problemi nel far volare il drone. Sono sempre molto attento e scrupoloso nonostante io lo faccia volare solo nelle zone dove è permesso.

Amo fare colazione in tranquillità quando sono in viaggio, solitamente lavoro anche un po’ al pc e mi dedico alla post produzione delle foto. Sapevo che avere tempo a disposizione, soprattutto in mattinata, sarebbe stato complicato. Una bella colazione a base di frutta e yogurt ed alle 9:00 partenza per il centro di Johannesburg dove ci aspettava Mongani, un ragazzo 21enne che ci portò in giro per le vie meno battute dal turismo. Facemmo tappa nel quartiere Newtown con sosta alla Constitution Hill, luogo storico dove attualmente ha sede la Corte costituzionale del Sudafrica ma in passato fu una prigione. Durante l’apartheid divenne un luogo dove furono rinchiusi anche Gandhi e Mandela. Nel 1983 poi fu chiusa ed ora, oltre ad essere la sede della Corte Costituzionale, custodisce la bellezza di circa 200 opere sudafricane.

Il quartiere di Newtown invece è un quartiere molto controverso, a tratti sembra non essere del tutto sicuro. In un viaggio in Sudafrica, in particolare a Johannesburg, va assolutamente considerato questo lato della città, vi farà capire il forte contrasto delle zone.

C’è povertà, e la sensazione di ritrovarsi in un luogo poco sicuro era tangibile.

Ci ritrovammo in una zona molto caratteristica che va vissuta con una guida locale, assolutamente. Inoltre in città c’è anche un problema radicato di droga e malavita legato proprio alla povertà. Preferire sempre spostamenti in auto ed accompagnati da una guida locale. Uber in questo paese funziona molto bene ed è utilizzato anche dai locali.

Noi con Mongani ci trovammo benissimo, non a caso conosceva tante persone in strada e riuscimmo a girare senza alcun tipo di problema.

Una parte molto caratteristica è quella dei graffiti sotto il ponte che delimita praticamente la fine della piazza dove è situato il “Museum Africa”.

Il quartiere dove i graffiti lo fanno da padrone è stato influenzato dal movimento newyorkese ed in particolare dalla città di Philadelphia. Ogni disegno è un’opera d’arte ed alcuni hanno una storia che segue/termina con i pilastri successivi. Mongani ci mostrò alcune zone oltre il ponte e nel bel mezzo del nulla, ci fermammo per un caffè. Un piccolo bar dove producevano il caffè macinando i chicchi proprio all’entrata, c’era un ragazzo di nome Davi che con estrema felicità mi mostrò come lavorava il caffè.

Confinante al caffè c’era una sartoria locale senza muri laterali, era possibile osservare gli addetti alle varie strumentazioni, precarie. Un luogo abbastanza fatiscente ma che con umiltà era ben apprezzato dagli stessi lavoratori, scalzi ma con il sorriso.

Ciò che più mi colpì di questo quartiere era la totale assenza di turisti ma non era difficile immaginarselo.

A pranzo siamo ospiti al Che Argentine grill nel quartiere Maboneng che raggiungemmo dopo una tranquilla passeggiata di pochi minuti. Il titolare ci mostrò i piani sottostanti la terrazza dove solitamente si svolgono pranzi e cene. Ospita infatti una galleria fotografica molto particolare in una location fintamente fatiscente ma che faceva risaltare a tutti il messaggio. Terrazza molto ben curata che affacciava sulla città di Johannesburg, pranzo ottimo e carni veramente eccezionali.

Come vi dicevo in precedenza, Uber funziona benissimo ed è utilizzato anche dai cittadini locali. I taxi funzionano altrettanto bene, si prenotano alzando una mano e con le dita si indica una destinazione (2 dita, 3 dita etc…). Sono piccoli autobus colorati con la bandiera sudafricana, in passato questi autobus erano riservati ai bianchi, solo i 4 posti in fondo erano accessibili agli uomini di colore.

La democrazia negli ultimi anni ha fatto passi da gigante ma in passato l’alto tasso di corruzione, anche nel governo, ha rallentato di parecchio lo sviluppo e la buona riuscita di investimenti. Negli ultimi anni i cinesi hanno deciso di investire pesantemente, così come nel resto dell’Africa.

Attualmente il governo pare stia facendo un ottimo lavoro, soprattutto nel sistema scolastico. La scuola statale è ad un livello basso perché con il tempo la disparità tra i neri ed i bianchi ha provocato ritardi nell’istruzione, pareggiare il livello di educazione, a seconda delle disperate situazioni in cui si ritrova il popolo, è un’impresa ardua. Il governo infatti sovvenziona chi frequenta quella privata in cui la qualità è superiore.

Dopo pranzo andammo in zona Soweto per far visita ad una scuola di bambini. Intitolata a Mbuyisa Makhubo, uno studente che durante il periodo delle rivolte contro la lingua Africans cercò di salvare un bambino sparato nella confusione. La foto, scattata da Sam Nzima, fece il giro del mondo e l’impatto fu gigantesco.

Mbuyisa fu costretto a lasciare il Sudafrica dopo aver ricevuto moleste da parte dei servizi di sicurezza. Insieme ad un certo numero di attivisti sudafricani, si rifugiò in Nigeria subito dopo gli incidenti di Soweto.

Visitammo questa scuola dove c’erano circa una ventina di bambini/e che si divertivano a colorare in una stanza con fatiscenti banchetti di ferro e legno, altri invece giocavano nel piazzale. Ci accolsero molto affettuosamente ed una bambina di nome Anele attratta dalla macchina fotografica mi prese la mano e mi portò in giro a farmi conoscere i vari tipi di piante che coltivano nel retro. Altre bimbe cercarono di avvicinarsi a me, vennero respinte da Anele che gelosamente custodiva la mia mano senza darmi tregua.

Ritornammo nel piazzale per fare qualche gioco in compagnia di tutti.

L’aria che si respirava era particolare: avvertì un senso di tristezza ma al tempo stesso mi resi conto di ritrovarmi in una situazione abbastanza privilegiata rispetto ai bambini che non potevano nemmeno frequentare questa scuola.

Nei dintorni infatti si trovava una situazione abbastanza disastrata, attraversammo alcune strade dove la sensazione di impotenza – ed al tempo stesso di perdizione – era clamorosa.

Persone che girovagavano senza un apparente motivo erano frequenti, così come i bambini che scorrazzavano da un marciapiede all’altro. 

La casa di Mandela è un’attrazione turistica che non ha un fascino particolare, è tutto ricostruito ed anche il letto è una riproposta dell’originale. Fu comunque molto interessante scoprire aneddoti raccontati da chi ha vissuto quel periodo. Non c’è tantissimo turismo, ma questo in generale. Sono quasi tutti concentrati in luoghi chiusi.

Rientriamo in hotel (Sandton Sun) in una zona differente da quella in cui alloggiammo la prima notte. Ci ritrovammo in una zona molto ricca, più residenziale dove sorgono ville molto maestose su di una sorta di collina che da’ sulla città. Helen ci spiegò che questa è una zona appunto molto ricca dove si avverte il fortissimo contrasto interno alla popolazione sudafricana che vive a Johannesburg. 

La particolarità che mi colpì e forse più emblematica era che gli hotel più grossi erano tutti collegati ad un centro commerciale. Così facendo si evita di uscire dalle strutture.

L’hotel in cui alloggiammo l’ultima notte era molto appariscente ed anch’esso con un accesso diretto al centro commerciale e ad una piazza (intitolata a Nelson Mandela) ben controllata dalla security (anche di notte).

Ceniamo con la direttrice generale e la stylist dell’hotel: due persone eccezionali molto sorridenti e piene di vita. Ci riservarono un tavolo nel ristorante dell’hotel e mangiammo benissimo. A fine serata una piccola passeggiata nel centro commerciale (con negozi chiusi) per immortalare una foto-ricordo di gruppo. 

La notte divenne lunga, al bar tra un sorso ed un altro di amarula.

20 NOVEMBRE

Una bella colazione per poi partire per la riserva naturale di Madikwe. Un viaggio che sarebbe durato circa 5 ore di autobus. 

Prima di uscire dalla città di Johannesburg, passammo su di un ponte e scendendo dallo stesso, Helen ci mostra Bidonville. Una sorta di campo quasi infinito di baracche dove vivono un bel po’ di persone. Quello che mi colpì era il folto numero di parabole che sorgevano sulle case fatiscenti. 

Una distesa di povertà, dove l’alto tasso di criminalità resta forse in quelle baracche. 

1-2-3 e si viaggia verso Madikwe. L’entusiasmo era alle stelle, finalmente avrei potuto vedere da vicino gli animali che ho sempre sognato, in particolare i BIG 5. Ma chi sono? Sono i 5 animali più desiderati, chiamati così non per la loro stazza ma per l’importanza che si legava ad essi. Ahimè erano/sono un trofeo per i cacciatori.

Durante il tragitto ci fermammo due volte per una sosta veloce, la prima di queste fu una sosta presso una sorta di autogrill dove oltre alla stazione che erogava benzina, sorgeva un piccolo supermercato. Al nostro arrivo c’era un camion portavalori all’ingresso e nessuno poteva entrare né uscire: un uomo armato fino al collo (aveva un mitra più grande di lui stesso) ispezionava l’area attorno al supermercato ed altri due invece si trovavano proprio all’ingresso.

Desisto a far volare il drone, probabilmente non avrebbe avuto un buon epilogo il volo!

Arrivammo all’ingresso di Madikwe dove firmammo un documento in cui ci assumevamo la più totale responsabilità per eventuali problemi all’interno della riserva, in particolare problemi legati agli animali. Lo stesso ingresso era ben contornato da cartelli che invitavano alla prudenza! 

Dall’ingresso al lodge impieghiamo circa 20 minuti.

La strada diventava prima sterrata poi rossa. Il rosso della savana.

Incrociammo i primi animali e l’emozione, nonché stupore, era altissima. A raccontarlo ho di nuovo i brividi. 

Arrivammo al lodge dove l’accoglienza è favolosa: entusiasmo e particolarità della struttura sono il punto di forza dello Jaci’s. Lo staff era numeroso, molto accorto a tutti noi. Ci riservano un bel pranzo a base di carne nella hall del lodge dove praticamente ci sono più location dove poter pranzare.

Ci sistemammo ognuno all’interno del proprio lodge, personalmente mi riservarono una suite. Suite spettacolare, si sviluppava su due piani ed aveva tutti open space. 

Appena poco dopo ci preparammo per il primo safari che si sarebbe concluso con le ore del tramonto. Ci distribuimmo su due jeep, coperte sulla parte superiore con alcune barriere laterali. Mi armai abbastanza: con il monopiede fissato sotto la A9 con il 100-400 e la A7RIII corredata con il 16-35 per immortalare tutti i paesaggi.

Ci consigliarono prim’ancora di partire per il safari di:

  • silenziare i cellulari
  • Ridurre al minimo ogni tipo di conversazione, specie quando saremmo stati fermi vicino gli animali
  • Di non chiamare, ovviamente, gli animali come se fossero cani o gatti.

L’incontro ravvicinato con i primi animali fu particolare, l’adrenaline alle stelle.

Ciò che mi colpì maggiormente fu il rispetto di tutti gli addetti ai lavori che nutrivano verso gli animali. 

Quello era il loro habitat naturale e andava rispettato.

La savana è particolare, si passa da zone molto aride a zone dove la vegetazione è alta. Il terreno cambia costantemente colore e l’odore è… dovete andarci! Addirittura il cielo cambia aspetto se ci si dirige verso sud o nord. Uno spettacolo della natura a 360°.

I primi animali che incontrammo verso il nostro tragitto furono gli impala. Animale particolare l’impala: scorrazzava da destra verso sinistra passando sulla strada dove solitamente giravano le jeep. E’ molto schivo ed è spesso preda. 

Osservare il movimento, gli atteggiamenti delle zebre e di come si nutrivano fu altrettanto un’emozione. Un animale, la zebra, particolare che vive quasi sempre in branco numeroso, sembrano cavalli più bassi e cicciotti. Quasi sempre si rifugia vicino le fonti d’acqua dove ci sono maggiori distese e poca vegetazione alta. 

Ogni zebra ha una macchiatura della pelle diversa e si distinguono fra loro proprio attraverso le armoniose linee parallele bianche e nere. 

Mentre ci dirigevamo verso altre tracce di animali, tra gli alberi ed un po’ di piante alte notammo il collo di due giraffe. Che animale strano la giraffa, innocua e simpatica all’apparenza. Poco dopo le giraffe, avemmo la fortuna di incontrare i leoni.

 

Con i leoni l’incontro fu singolare e la sensazione di strapotenza fu viva sin da subito. C’era un maschio e 3-4 femmine sul lato destro fermi ad osservare, così che ci fermammo con la jeep a guardarli. Poco dopo, forse per il disturbo recato dall’arrivo di un’altra jeep si rimisero sulle zampe ed iniziarono a passeggiare verso il centro della strada.

Quando i leoni si muovevano, tutto ciò che c’era attorno era soltanto un fuggi fuggi. Ed era proprio in quegli istanti che si avvertiva il rispetto, la paura e l’importanza di questo animale incredibile, proprio nella savana.

Tra un cespuglio ed un altro osservammo l’eleganza dello struzzo, la riservatezza delle antilopi e la tenerezza degli elefanti (specie quelli piccini). 

L’elefante ha una vita lunghissima, circa 70 anni. Muore per stenti di fame, perché cambia i propri denti circa 6-7 volte durante la propria vita e durante l’ultimo ciclo non gli ricrescono così muore lentamente. E’ un animale che subisce tanto l’azione illegale dei bracconieri proprio per l’avorio. Oggetto del desiderio di tantissime nazioni ed attività che difficilmente vedrà mai una fine. Quello che più mi sconvolse fu sapere che uno degli maggiori acquirenti di avorio al mondo è il Vaticano.

Infine quello che poi notai e che difficilmente è sotto gli occhi di tutti, fu il volo degli uccelli. Guardarli fu uno spettacolo della natura incredibile, così liberi in un cielo mai cosi libero e limpido.

Con il calar del sole poi vennero fuori tutte le stelle. Non c’era inquinamento atmosferico e le luci erano davvero poche. C’erano solo i lodge e le strutture ricettive che illuminavano leggermente. Infatti le stesse strutture tendevano a restare il meno visibili possibile, per rispetto dell’ambiente e della natura che li circonda.

Rientrammo al lodge, dove ci aspettava una cena particolare.

La location era unica, eravamo riuniti giusto 3-4 tavoli e si contavano una dozzina di persone oltre noi. Al centro era presente un piccolo fuoco acceso dove potersi riscaldare (la sera calava leggermente la temperatura) con attorno dei piccoli sgabelli in muratura dove potersi appoggiare, alcuni barattoli di vetro con all’interno dei piccoli led illuminavano le tavole bandite del necessario. 

Ed era proprio l’essenziale che non andava in spreco a colpirmi continuamente. Dando il giusto peso a tutto quello che ci circondava, si donava importanza anche alla più stupida delle azioni che nel loro piccolo si trasformavano i piccole grandi azioni.

C’era un barbecue al lato della tavola ed un banchetto con sopra appoggiate delle grosse pentole calde, ognuna contente pietanze diverse: cous couss, verdure, riso etc.. etc.. Poi un ragazzo curava invece il barbecue cuocendo le varie carni, precisamente io assaggiai quella di pollo e di agnello, veramente squisita.

La sveglia programmata alle 4:50 ci fece crollare quasi tutti, rientrammo ognuno nel proprio lodge e dormimmo come bambini!

21 NOVEMBRE

Alle 4:50 avevo la sveglia, saremmo partiti poi alle 5:15 per il safari all’alba. Ovviamente ero già sveglio prim’ancora che mi venissero a bussare. 

Un po’ di caffè caldo e salimmo sulle jeep. 

L’atmosfera era da favola, difficile da raccontare: le prime luci filtravano attraverso gli alberi, alcuni maestosi altri più timidi si nascondevano. Alcuni animali erano già super attivi: leoni, elefanti e zebre. 

Quando il sole diventa più cocente, gli animali tendono ad abbattersi e a rifugiarsi nelle zone di ombra. Il mattino quindi è il momento migliore per osservare gli animali nelle loro attività più comuni. 

Ciò che mi colpì quella mattina fu il rosso della terra, aveva un profumo e toccarlo quasi era come sabbia. Diventava poi sempre meno acceso quando ci si avvicinava alle sorgenti d’acqua. C’era molto caldo quella mattina ma il vento ci aiutò comunque a non sudare. Per giunta io non amo il caldo, lo sapete, ma quel caldo lo vorrei tutto l’anno. Un caldo secco, piacevole alla pelle e si sudava pochissimo. 

Con il cambiare del colore della terra, cambiavano anche gli elefanti. Non esistono elefanti bianchi, ad esempio. Una vera e propria leggenda quella degli elefanti bianchi, quest’ultimi diventano di questo colore perché il terreno dove si rotolano/appoggiano è chiaro e pieno di polvere magari. Così prima di lavarsi sembra che abbiano un colore della pelle diverso.

Dopo una bella mattinata a scovare animali, prima di pranzo facemmo un aperitivo fantastico per poi tornare al lodge per un brunch leggero. La direttrice poi ci portò in giro per farci conoscere la struttura, gigante oltretutto. Vediamo le varie piscine, un vero e proprio capanno che affaccia su una sorgente d’acqua artificiale dove gli animali (specie le zebre) vengono a bere. Ci concessero un paio d’ore di relax, chi preferì andare in piscina, chi in stanza, io ovviamente lavorai girando qualche video e scattando foto (stranamente).

Alle 16 si ripartì per l’ultimo safari, l’ultimo tramonto in savana. Lo facemmo in grande stile, dopo un giro particolare, ci fermammo in uno spazio aperto circondato solo da alcuni alberi e cespugli. Gli animali sembravano non vedersi.

Ci apparecchiarono 3 banchetti con bibite, vino e tanti spuntini come patatine, rustici, carne essiccata e frutta secca strabuona. 

 

Brindammo e lasciammo che il sole tramontasse lentamente, sino al buio più totale per poi rientrare al lodge. Fu il più bell’aperitivo che io avessi mai fatto.

Rientrammo per una cena in una location nuovamente diversa sempre nel lodge, questa volta sul terrazzino all’esterno. Magiammo dei noodles a base di verdure ed un pesce che si chiama Kinglip: tipico pesce sudafricano che dalla tenerezza sembrava un sogliola ma al tempo stesso bello consistente al palato, cucinato alla grigia. Per finire ci portarono un gelato che al sapore sembrava basilico, poi la chef ci convinse che fosse kiwi e menta. 

La frutta così fresca e squisita credo di non averla mai provata da nessuna parte così. 

22 NOVEMBRE

La sveglia suonò presto perché avevamo l’autobus che ci avrebbe portato a Pretoria prima e poi di nuovo a Johannesburg per un volo interno per Cape Town. Ci prepararono una colazione al sacco per il viaggio, saluti ed abbracci e si tornò in viaggio.

Raggiungemmo Pretoria dopo qualche ora in autobus dove dormimmo tutti. La città di Pretoria, capitale amministrativa del Sudafrica, prende il nome dal suo fondatore Pretorius. Stupendi e particolari, nonché simbolici, gli alberi di jacaranda importati da Rio de Janeiro per abbellire i grandi viali tra cui Church Street che risulta essere una delle vie più lunghe al mondo (43 km). 

Gli Union Buildings sono caratteristici e storici perché Nelson Mandela tenne il suo primo discorso alla nazione. 

Prima di lasciare la città facemmo visita al Rovos Rail, una stazione ferroviaria di lusso che collega varie rotte dell’Africa meridionale: dal Sudafrica alla Namibia ed alla Tanzania. I treni sono restaurati dalla Rhodesia Railways con alcuni saloni molto particolari, ristoranti ed alcuni scompartimenti privati. 

Ci dirigemmo in seguito verso l’aeroporto di Johannesburg dove salutammo la nostra guida, onnipresente Helen. Una ragazza fantastica, dalle risposte sempre pronte ad ogni nostra curiosità e di una cultura sconfinata. Parlava benissimo anche l’italiano, oltre che inglese e credo africans. Fu per noi un punto di riferimento per qualsiasi richiesta.

Ci imbarcammo, con non pochi problemi per me causa bagaglio a mano, con due ore di ritardo arrivammo finalmente a Cape Town. Ci aspettava l’altra di capitale, quella che ci avrebbe fatto vivere il vero contrasto sudafricano, dopo aver visitato Johannesburg. 

Atterrammo a Cape Town dove ci aspettava Paula, la nostra nuova guida locale. 

Ci dirigemmo subito in hotel, al Sunsquare Cape Town City Bowl Hotel, stanchi morti.

23 NOVEMBRE

La sveglia suonò abbastanza presto, avevamo appuntamento con la nostra guida Paula che ci avrebbe portato a Table Mountain. Il tempo ci permise di salire in cima senza alcun tipo di problema (spesso se le giornata sono troppo ventilate chiudono la funivia!). 

La vista da lassù era spettacolare, nulla di simile avevo mai visto in vita mia. 

Le baie, le scogliere, le montagne e la foschia erano accompagnate da un leggero vento. Piacevole addirittura.

Avemmo possibilità di restarci per una quarantina di minuti, prima di ripartire.

Facemmo una piccola visita a tutta la città di Cape Town. A differenza di Johannesburg, si avvertiva la sensazione di trovarsi in una città più sviluppata e più vicina al turista. Meno ostica e più friendly, soprattutto negli atteggiamenti del popolo locale. 

Visitammo il centro, in particolare City Hall (municipio di Cape Town) dove Mandela tenne il suo primo discorso da presidente. Inizialmente la piazza era utilizzata come mercatino.

Facemmo un salto veloce alla zona Bo-Kaap (delle case colorate!).

Ci ritrovammo in un luogo inflazionato forse: i locali non apprezzano tantissimo questa mania fotografica dei turisti, infatti erano leggermente infastiditi dal fatto che ci fossero tanti, troppi fotografi fuori le proprie abitazioni. 

Pranzammo all’Alba Boat, un ristorante esclusivo su di una barca. Il cibo non era granché ma fu molto caratteristico poter fare un piccolo giro nel porto mentre si mangiava. 

Ci fu anticipato che avremmo ricevuto un regalo da parte della Eden che aveva organizzato una piccola sorpresa esclusiva per tutti noi. Nessuno indovinò l’attività, così ci ritrovammo poco dopo su una pista di elicotteri: ci avrebbero fatto sorvolare la baia di Cape Town dall’alto!

L’esperienza fu adrenalinica ed emozionante: non avevo mai fatto un giro in elicottero, ed il pilota per giunta era molto “frizzante”. Un surplus apprezzatissimo.

 

Rientrammo in hotel per una rinfrescata ma l’appuntamento per la cena era già imminente. Le premesse erano interessanti: saremmo stati ospiti al Gold Restaurant. Un ristorante tipico sudafricano dove la cena era una vera e propria celebrazione del cibo, il tutto accompagnato poi da intrattenimenti live di musica, balli e spettacoli tipici. 

Indossavo un pantalone con stampe tipiche sudafricane, così non passai inosservato. Una ragazza di nome Anne, che serviva ai tavoli, notò l’estroverso abbigliamento e mi concessi un ballo. Anne era bellissima, aveva un sorriso avvolgente e degli occhi grandi, tanto da mettermi in imbarazzo.

La cena fu buonissima: carne di struzzo (carne bianca anche se dall’aspetto non sembra) servita con dell’insalata, pane fritto, pollo piccante, salsa con aglio e melanzane sul pane, gamberi fritti e patate con piselli alla zanzibarina. Proseguimmo con del pesce tipico di cui non capì il nome (xD) servito con degli spinaci, zucca, salsiccia selvatica, lenticchie, spiedini di frutta e per terminare una torta con la bieta con crema. 

Al termine della serata Anne volle farsi una foto con me, mi abbracciò e mi tenne stretta la mano per un paio di minuti prima di lasciarmi.

24 NOVEMBRE

Una ricca colazione prima di partire alla volta della penisola del Capo, percorrendo la panoramica di Chapman’s Peak. Si accede pagando alcuni pedaggi, non sempre è aperta a causa di lavori di manutenzione oppure per avverse condizioni climatiche.

Eravamo diretti verso il punto più a sud dell’Africa: Capo di Buona Speranza. Sapevo che sarebbe stata un’emozione fortissima e fu tutto confermato poco dopo.

Raggiungemmo una baia con l’autobus, avevamo davanti agli occhi probabilmente lo spettacolo paesaggistico più bello che potessi mai richiedere: oltre quella foschia probabilmente il nulla (o tutto, dipende dai punti di vista!). C’era molto vento, tagliente ma piacevole. Facemmo qualche foto, non c’erano tantissimi turisti fortunatamente, avemmo così la possibilità di muoverci facilmente. Le strade erano quasi sgombere così anche negli spostamenti fummo veloci. 

Con una “piccola” scalinata arrivammo su al faro, costruito dagli inglesi inizialmente. Il vecchio faro ora è un monumento perché all’epoca, essendo una zona con molta nebbia, non funzionava benissimo: affondarono parecchie navi così ne costruirono uno nuovo più in basso con maggior successo. 

La vegetazione era molto simile a quella della Sardegna, gli stessi paesaggi, durante i piccoli viaggi da un punto ad un altro, davano quella sensazione dell’isola italiana. 

C’erano struzzi ovunque, liberi. 

Per concludere, la tappa successiva fu alla spiaggia popolata dai pinguini: Boulder’s Beach. Ormai una meta turistica frequentatissima, ma che conserva comunque un fascino particolare. Pensavo di non apprezzarlo abbastanza, invece – sarà per la storia e per la delicatezza di chi ha gestito questa invasione dei pinguini – che ho avuto modo di abbattere il mio pregiudizio.

Durante gli anni 80’ arrivarono le prime coppie di pinguini, la spiaggia era libera ed accessibile anche al pubblico. Dopo un bel po’ di anni, i pinguini sono diventati troppi così da dover chiudere la spiaggia ai bagnanti e lasciarla esclusivamente ai pinguini. Proprio questo il processo naturale delle cose che ho apprezzato, poi c’è la parte economica, quella che lucra, che meno apprezzo ma è normalissimo in un mondo consumistico.

Sulla strada di ritorno facemmo una piccola tappa all’orto botanico: una stupenda riserva dove trovare tantissime piante: in particolare quelle grasse erano spettacolari. Debora, appassionata di fiori, mi indica alcune protee originarie proprio dell’Africa australe. 

Eravamo ospiti al Sun Waterfront, un hotel in una zona prettamente residenziale e ricca. Ben collegata con i centri commerciali adiacenti. 

Cena in un ristorante proprio in zona Waterfront, ma prima un pomeriggio riservato allo shopping. Non c’erano tantissimi negozi turistici, anche se a Cape Town un po’ di più rispetto che a Johannesburg. Al Waterfront a Cape Town è sicuramente possibile fare acquisti essendoci una sorta di mercato al coperto dove vendono oggetti di artigianato molto particolari. 

25 NOVEMBRE

Sarebbe stato il nostro ultimo giorno in Sudafrica, un po’ di tristezza era normale ma così tanta forse non l’avevo prevista.

La giornata si sarebbe svolta prettamente in zona Paarl dove facemmo visita ad un’azienda vinicola sudafricana. Assaggiamo molta cioccolata ed alcuni vini abbinati proprio al particolare cioccolato che ci offrirono. Ci trasferimmo in zona Franschoek e visitammo una cantina della zona ed assaggiamo alcuni vini tipici e bevemmo (tanto per cambiare!) associandoli a del formaggio spettacolare. 

I luoghi circostanti erano mozzafiato, mai avrei immaginato di ritrovarmi in posti simili proprio in Sudafrica: colori tendenti al giallo che a chiazze si trasformavano in verde acceso

Pranzammo e partimmo per l’aeroporto di Johannesburg dove salutammo Debora.

Debora è stata per tutto il viaggio il nostro punto riferimento, una donna eccezionale. Tengo a precisare che per un viaggio in Sudafrica, una figura come Debora gioca un ruolo fondamentale affinché il viaggio riesca al meglio. Gestire situazioni anguste, conoscere ogni angolo, essere informati sono aspetti da non tralasciare. 

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Il rientro fu stancante, mentalmente, fisicamente…

Non ero pronto, ma nonostante ciò ritornai pieno e colmo di esperienze. Fu tutto così veloce: dalla proposta di partenza al viaggio stesso che tuttora, stranamente, ricordo così come se l’avessi fatto ieri. Ogni parola dei miei compagni di viaggio, delle guide. 

Sento ancora il profumo della terra rossa della savana, i versi degli animali liberi, l’affetto dei bambini, gli sconfinati paesaggi e la mano di Anne.

L’Africa va vissuta, va vissuta con chi ha il cuore pronto e l’animo gentile. 

Alla MADE del gruppo Eden Viaggi che mi ha permesso di fare questo viaggio.

A Vanessa che mi ha dato questa fantastica opportunità.

A Sergio ed Alfredo di Fotoema che mi hanno permesso di essere supportato fotograficamente, non lasciandomi in balìa mai.

Ai miei compagni di viaggio: Enrico, Tiziana, Stefania, Daniela, Serena, Gloria, Erika ed Alessandra

Alla Debora.

Helena e Paula.

Dedico ogni mio scatto che ho fatto.

Da oggi l’Africa ce l’ho sulla pelle, e non solo.